Il valore del Fundraising nella società della condivisione

In questo momento assistiamo in Italia a una vera e propria esplosione di interesse per il fundraising e per i temi a esso connessi.

Non sempre si tratta di interesse ben posto: in troppi guardano alla raccolta fondi come a un’attività meramente strumentale alla raccolta di risorse finanziarie, a un repertorio di tecniche quasi magiche per persuadere la gente a “sganciare i soldi”, per usare un’espressione molto prosaica ma, ahimè, abusata.

Ci sono tragedie più efficaci di altre, tragedie più competitive di altre sul mercato della solidarietà?

Occorre fare in modo che le cause sociali che non sono abbastanza seduttive comunichino meglio, di più e più aggressivamente?

Pensiamo, ad esempio, alle maratone della generosità: sono belle ed efficienti, ma contengono un pericolo sottile, quello di indurre a pensare che la donatività sia un fatto eccezionale, e come tale confinato a momenti ben precisi dell’esistenza, oltre i quali le regole del gioco cambiano, e divengono possibili anche quelle scelte e quei comportamenti che contrastano apertamente con il senso stesso dei precedenti gesti di generosità, per quanto impulsivi.

Il problema non è stabilire un record una tantum, ma lavorare alla diffusione di una cultura diversa, che faccia comprendere come la donazione non sia mai un fatto unilaterale, ma uno scambio sociale complesso che produce benefici non soltanto per chi riceve, ma soprattutto per chi dona, nella misura in cui questo dono ha un perché.

Quante volte di fronte a gesti di generosità, i media parlano di “angeli”, come se appunto non si trattasse di esseri umani. È necessario evitare con cura di cadere in queste trappole. Non più donare per dimenticare, per rimuovere il senso di colpa o per sentirsi per un attimo sovra-umani.

Al contrario, donare per entrare a far parte, attivamente, di un contesto di esperienza che ci interroga, ci responsabilizza, ci obbliga moralmente a voler sapere di più, a conoscere le realtà che sosteniamo e a condividerne il senso nella nostra quotidianità.

Donare serve più a chi dona nel momento in cui il dono diventa un’opportunità per riflettere sul modo in cui si vive, sulle scelte che si fanno, sulle ragioni che rendono la vita degna di essere vissuta.

La raccolta fondi è sicuramente un’attività che richiede un corpus di tecniche, conoscenze specialistiche, esperienza professionale; ma allo stesso tempo, è soprattutto il punto di arrivo di una catena di relazioni e interazioni sociali basata non tanto sul meccanismo della dazione, quanto sulla creazione di forme di scambio sociale complesse.

Al donatore non si chiede necessariamente denaro. In primo luogo, gli si chiede attenzione e partecipazione nei confronti di una causa socialmente meritoria; a questa causa si può contribuire in varie forme: sonando tempo, competenze professionali, legami relazionali, ma anche, in alcune circostanze, la propria credibilità personale.

Contribuire non significa quindi semplicemente conferire risorse, ma soprattutto lasciarsi coinvolgere: e quindi non è solo dare, ma anche e sarei tentato di dire soprattutto, ricevere. Non per tutte le attività è sensato, e quindi a maggior ragione giusto, raccogliere fondi.

La raccolta fondi ha senso quando dietro di essa vi sono obiettivi, esperienze, risultati già raggiunti o ragionevolmente possibili il cui conseguimento può rendere chi si lascia coinvolgere più ricco di esperienza, più consapevole, più aperto e sensibile a ciò che è altro da sé.

Quello che un corso di fundraising può insegnare oggi è soprattutto come mettere il proprio sapere tecnico al servizio di una causa imparando a riflettere con rigore e intelligenza sul senso degli obiettivi, dei mezzi, dei risultati, confrontandosi con chi ha già avuto modo di accumulare esperienza in questo campo.

Un percorso formativo di fundraising è quindi uno strano mix di pragmatismo e teoria, e soprattutto deve essere un percorso interdisciplinare che apra finestre di consapevolezza su tutte le dimensioni dello scambio sociale: psicologica, antropologica, economica, sociologica, sulla base di una solida competenza giuridica, contabile, gestionale.

Il perché raccogliamo donazioni conta quanto il quanto raccogliamo. Se riusciremo a comprendere questa essenziale verità e a farla divenire un principio fondante del bagaglio culturale e deontologico dei fundraiser e dei futuri tali, saremo finalmente pronti per affrontare la sfida più difficile: quella della quotidianità!

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