Siamo in una fase per certi versi istituente dove anche i fondamenti della «raccolta fondi» per le attività d’interesse generale vanno ripensate.
Un ripensamento dovuto alla profonda trasformazione delle motivazioni intrinseche connesse al dono, alla diffusione del digitale come strumento per conoscere e donare a progetti sociali (secondo i dati di Donare 3.0 nel 2022 le donazioni online – scelte dal 42% delle persone – superano quelle in denaro contante), alla presenza di nuovi soggetti intermediari (persone fisiche, imprese e nuove piattaforme), alla platea di donatori che evidenzia una crescente frattura fra la Generazione Z e quella dei baby boomer (in termini di aspettativa, ma anche di buone cause da sostenere).
L’accelerazione pandemica ha portato a galla cambiamenti che non richiedono appena la messa in campo di una strategia “adattiva”, ma di una “strategia trasformativa”, in grado di intercettare e costruire nel presente una nuova visione di fundrasing. I tempi non sono gli stessi della scomparsa del noleggio delle cassette VHS dopo l’avvento delle piattaforme di streaming, ma anche per i bollettini postali – spesso pagati facendo lunghe file alle poste – si avvicina l’inizio della fine (nel 2020 scelto ancora dal 39% dei donatori secondo i dati del Global Trends in Giving).
La diffusione dei pagamenti online e l’uso crescente del mobile disegnano un nuovo habitat e chiede alle organizzazioni non profit un profondo ripensamento delle strategie e delle competenze alla base della propria azione di raccolta fondi.
La discontinuità e l’accelerazione di questi tempi impone alle organizzazioni una prospettiva nuova capace di coltivare il «futuro», non più solo guardando al passato o cercando di stimolare un’adattabilità ai cambiamenti (imprevedibili) in corso, ma di introdurre elementi di rottura.
Diversamente da alcuni anni fa assistiamo a donatori che preferiscono cambiare nel tempo le loro preferenze e che decidono di donare mossi da una aspettativa “diversamente utilitaristica”, ossia in grado di produrre utilità per i progetti e contemporaneamente di stimolare appartenenza e riconoscimento.
In un’epoca in cui i “cigni neri” e le emergenze si susseguono con una frequenza mai vista, diventa complesso replicare strategie basate sulla mera fidelizzazione della propria base di donors.
Questa base, come detto, è al centro di “scosse telluriche” che segnalano la fine di una fase e l’urgenza di strategie capaci di misurarsi con una complessità che offre, se affrontata con la giusta postura, nuove e significative opportunità.
Una strategia di fundraising trasformativa che non si costruisce appena «aggiornando e formando le competenze», ma potenziando il capacity buiding di tutta l’organizzazione, chiamata a ridisegnare l’intera “catena del valore” rendendola, più solida, più digitale, più aperta e trasparente e sempre più orientata a dimostrare i cambiamenti buoni che è in grado di generare per l’uomo e il pianeta.
Occorre uscire dalla torre d’avorio dei settori e dalla “sublimazione” di tecniche troppo spesso orientate alla persuasione piuttosto che alla relazione. La donazione ha senso ed è sostenibile solo se preceduta da una relazione: l’essenza del dono è infatti la relazione, ossia la reciprocità. Chi dona non chiede solo trasparenza e reputazione, ma aspira a cambiare in meglio un “pezzo di mondo”.
In un mondo di istituzioni estrattive che “consumano e bruciano” fiducia, le organizzazioni orientate all’interesse generale costituiscono la più rilevante delle sorgenti di reciprocità (trust producer): non possiamo inseguire obiettivi economici desertificando il territorio di relazioni, comunità e partecipazione culturale.
Non basta più, come diceva Diderot, “far bene il bene” occorre anche chiedersi dove va il valore, come viene distribuito, imparando a riconoscere e distinguere fra chi estrae e chi include.
Tanto nelle politiche quanto nell’economia, tanto nell’innovazione quanto nell’inclusione. Il fundraising diventa così uno strumento indispensabile per una giustizia che si realizza non solo con la redistribuzione ma soprattutto con la “contribuzione”. La giustizia sociale ed il bene comune postulano la contribuzione e collaborazione dei cittadini; in questo senso si capisce come anche le politiche pubbliche debbano consolidare e rilanciare la sussidiarietà fiscale e gli incentivi alle donazioni, perché su questa partita non si gioca solo la sostenibilità di pochi, ma la prosperità di molti.
Legare gli obiettivi di un progetto all’impatto sociale prodotto (misurandole) fa emergere il lato sistemico della raccolta fondi e la necessità di professionisti sempre più ibridi, ossia capaci di interpolare e orchestrate risorse pubbliche e private, competenze interne ed esterne, in un ambiente dove la dimensione digitale è indistinguibile da quella fisica (OnLife direbbe L. Floridi).
Il “post pandemia” non ha introdotto solo il desiderio di normalità, ma anche una domanda di cambiamento. Donare per molti non è solo un contributo per una cosa buona o per un’emergenza, ma per un cambiamento dal basso. Alla base del successo e dell’affermazione del crowdfunding (la piattaforma GoFundMe nel 2023 ha raccolto 26 milioni di euro, ForFunding , Rete del Dono e Produzioni dal Basso) non c’è solo la “plasticità” e la “potenzialità” di questo strumento digitale ma la sua capacità di catalizzare la folla (crowd) e orientare legami verso obiettivi desiderati e spesso antagonisti dello status quo.
Il fundraising del futuro dovrà ricombinare in maniera evoluta e intenzionale il “fattore digi-cal” (digitale+locale) e dovrà rendere “esplicito” il valore per la comunità.
Non è un rigurgito localista post pandemico, bensì una responsabilità di tutto l’ecosistema dei soggetti che contribuiscono a raccogliere.
Profilare, personalizzare, fidelizzare e rendicontare rimangono elementi centrali in una strategia, ma il punto cruciale si giocherà sulla “qualità” del coinvolgimento dei donatori.
È arrivato quindi il momento di aprire formalmente il cantiere del community fundraising, tema affascinante che obbliga le organizzazioni ed i percorsi formativi a ricomporre in maniera moderna ed efficace, la tecnica con l’umano.