Dono e donazione: una relazione armonica

In un’epoca in cui la dimensione sociale è sempre più pervasiva e assume forme inedite e spesso ambivalenti, per il Terzo settore dare evidenza del valore sociale generato dalla propria missione, e non solo parlare di valore, diventa la chiave per costruire il futuro e rilanciare la propria identità. In altri termini potremmo dire che un conto è riconoscere l’identità di un’organizzazione non profit, altro è costruirla.

Occorre quindi superare la visione riduzionista e riparatoria (tradizionalmente caratterizzante la cultura del non profit) e giocare la partita che lega la missione del Terzo settore alla produzione di valore aggiunto sociale (Venturi, 2019).

Quando parliamo di dono rischiamo spesso di trasformarlo in un mero flusso (la donazione) mentre si tratta di molto di più: il dono, infatti, è una relazione e la donazione non è altro che il segno di questa relazione.

Se la donazione non entra in una logica di dono rimane un’azione strumentale che non arricchisce l’identità dei soggetti che ricevono. Il dono, quando è ridotto a spesa (consumo), viene di fatto mortificato. Quando, invece, educhiamo e ci educhiamo a leggere il dono come forma di esperienza e, in particolare, di esperienza non strumentale dell’altro, allora il dono diventa una modalità straordinaria per costruire identità.

La donazione diventa infatti generativa quando è preceduta da un dono.

Se l’esperienza che facciamo dell’uso del denaro è tutta legata ad aspettative connesse ai benefici del consumo e non al valore d’uso – ossia ad un fine – allora è inevitabile che lungo il binario di questo calcolo utilitaristico “costi-benefici” il tema della donazione rischi di perdere la sua vera consistenza (Venturi, 2017).

Se prevale una logica “contrattualistica”, il tema del “donare” verrà inevitabilmente letto in uno schema che lo qualificherà come mera privazione di risorse. Se il consumo diventa una forma attraverso cui costruire la propria identità, ossia passa attraverso un’esperienza di senso, allora i giovani saranno attratti da ciò che li trascina in quella direzione.

La costruzione dell’identità tramite l’esperienza richiede il pagamento di un prezzo che combina l’elemento monetario con un costo di accesso.

Avere accesso ad un’esperienza comporta un costo la cui principale caratteristica è l’intangibilità.

Tale costo ha una dimensione cognitiva e, pertanto, risulta necessario modificare il proprio schema di modello mentale per potere usufruire della relativa esperienza.

Sviluppare un nuovo modello mentale richiede, dunque, dei costi: il primo cognitivo, come appena descritto, il secondo, invece, motivazionale. Il riferimento è esattamente al costo di attivazione di un’esperienza.

A tutti gli effetti la capacità individuale di avere accesso all’esperienza dipende dalla propensione a pagare tali “costi”.

Le esperienze sotto la soglia di attivazione tendiamo a percepirle come più interessanti (sono normalmente quelle che ci impegnano di meno e che spesso si polarizzano verso comportamenti massificanti); meno, invece, quelle che si collocano sopra la soglia. Gli individui, infatti, fanno sempre più fatica ad impiegare le proprie energie nel fare autonomamente esperienze di senso.

La consapevolezza della distinzione tra dono e donazione è centrale in un’epoca in cui le piattaforme tecnologiche che si ispirano a paradigmi “peer to peer”, sono in grado di costruire con una precisione incredibile, interazioni strumentali orientate a ottenere donazioni, senza curarsi del dono ossia della relazione.

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