L’impatto del dono

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In un’epoca in cui la dimensione sociale è sempre più pervasiva e assume forme inedite e spesso ambivalenti, per il Terzo settore dare evidenza del valore sociale generato dalla propria missione e non solo parlare di valore, diventa la chiave per costruire il futuro e rilanciare la propria identità. In altri termini potremmo dire che un conto è riconoscere l’identità di un’organizzazione non profit, altro è costruirla.

Occorre quindi superare la visione riduzionista e riparatoria (tipica della cultura del non profit) e giocare la partita che lega la missione del Terzo settore alla produzione di “valore aggiunto sociale”.

Quando parliamo di dono rischiamo spesso di trasformarlo in un mero flusso (la donazione) mentre è molto più infatti, il dono è una relazione e la donazione non è altro che il segno, di questa relazione.

Dentro questa prospettiva si capisce l’importanza della valutazione d’impatto: strumento prezioso per dare evidenza e per comunicare il valore generato da un’azione trasformativa, che nasce dalla relazione.

Porre l’accento sul valore e non solo sulla funzione sociale, come fa il nuovo Codice del Terzo settore, fa capire molto bene che non basta più rendicontare le azioni e attività realizzate, ma diventa fondamentale dare evidenza a quella variazione che interviene fra “un prima e un dopo”.

La valutazione d’impatto è quindi amica del dono perché ne coglie gli elementi più profondi e non solo quelli di natura economica.

I beni relazionali non possono essere rendicontati al pari delle merci, poiché nascono da motivazioni sociali e il loro valore è spesso incorporato nelle esperienze di senso di chi fa volontariato, nei cambiamenti generati nella vita dei beneficiari (diretti e indiretti) e della comunità in cui essi vivono.

Elementi questi, molte volte trascurati nei tradizionali bilanci sociali, che non sempre ci comunicano la capacità trasformativa prodotta dalla missione di una Onp, ma che non ci fan mai mancare in apertura, il saluto del presidente.

L’importanza dell’impatto sociale per promuovere la cultura del dono è ben visibile nel crescente orientamento di molte organizzazioni non profit verso pratiche “intenzionali” di misurazione del valore prodotto. Pratiche diverse ed eterogenee che alternano report che usano standard di misurazione come lo Sroi o l’analisi controfattuale, ad altre ispirate ad un maggior pragmatismo che si limita a definire alcune dimensioni di valore e gli indicatori collegati ad alcune categorie di stakeholder.

Considero un fatto positivo le numerose sperimentazioni in atto poiché, benché imperfette e spesso disomogenee, ci raccontano l’intenzionalità del non profit nel voler fare un passo in avanti. In tutti questi casi, infatti, la motivazione di valutare diversamente ciò che si fa, nasce dall’esigenza di evidenziare effetti che spesso si danno per scontati o che non si conoscono.

Siamo solo all’inizio di un percorso irreversibile che cambierà radicalmente le strategie di fundraising e le campagne di comunicazione di molte organizzazioni non profit.

La cultura della valutazione secondo gli ultimi dati Istat è praticata dal 48% del Terzo settore, ma a ben vedere si tratta quasi sempre di relazioni rivolte agli stakeholder interni: associati (68%), volontari (48%) e utenti (39%).

Oggi invece la cultura dell’impatto sociale nasce da una forte spinta esterna che vede una moltitudine di “assetholder” (portatori di risorse),  avvicinarsi convintamente ad una buona causa nella misura in cui questa dimostra di saper essere efficace e non solo efficiente. Ne è prova il crescente orientamento delle fondazioni (in primis quelle bancarie) di inserire ‘la valutazione d’impatto sociale come elemento “core” della progettazione.

Una pratica questa dalla valenza “pedagogica” capace di alimentare processi di capacity building indispensabili per uscire dalla logica del progettificio on demand”. Assumere l’impatto sociale come premessa della strategia sociale per una Onp è utile non solo per dare un diverso “frame” a bisogni e attività (per esempio la comunità), ma anche per orientarsi verso sfide trasformative, le sole in grado di garantire sostenibilità e innovazione sociale.

Un altro fronte che spinge a promuovere la valutazione come pratica utile alla crescita delle donazioni (che la riforma del Terzo settore incentiva significativamente) e alla pratica del dono è quello legato alla spinta del digitale e delle diverse motivazioni pro-sociali in capo alle nuove generazioni.

Nell’ultima rilevazione promossa da Rete del Dono e Paypal (realizzata da Doxa), emerge con forza gli italiani che navigano su internet si confermano donatori (82%) e che donano nella misura in cui trovano sia spazio per dialogo, trasparenza e chiarezza sul progetto di raccolta fondi che li coinvolgerebbe. Una richiesta, quella legata alla trasparenza, che nei giovani risulta essere necessaria, ma non sufficiente, poiché per molti di loro è importante fare esperienza diretta, conoscere le sfide sociali che stanno dietro ai progetti.

Nei millennial è forte la tensione al cambiamento e quindi comunicare a loro non solo il valore della “buona causa” ma anche i cambiamenti che essa produce diventa essenziale. Non bastano infatti le buone intenzioni per fare le “azioni buone” e i giovani lo sanno molto bene, perché spesso si trovano a pagarne il prezzo.

La strada che lega il dono alla valutazione d’impatto è ancora lunga; una strada che per essere utile e generativa deve essere consapevole e intenzionale.

Affinché ciò accada è indispensabile creare e incoraggiare la creazione di un ambiente amico della valutazione d’impatto sociale, un contesto che conversa e apprende dalle esperienze altrui e che orgogliosamente sia in grado di comunicare a tutti il proprio tentativo di dare evidenza del bene generato.

 


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