L’impatto è un concetto che indica un cambiamento di lungo periodo che avviene sulle persone e nelle comunità. Valutare l’impatto significa rilevare, analizzare e “dare valore” alla trasformazione agita da un’organizzazione del terzo settore attraverso le attività realizzate, i servizi erogati o i progetti implementati, rispetto alle diverse categorie di portatori di interesse (stakeholder) e ai portatori di risorse (assetholder) – monetarie e non: dai beneficiari diretti di un intervento ai lavoratori, collaboratori, soci e volontari dell’organizzazione, passando per i finanziatori e i donatori presenti o futuri nonché i soggetti pubblici, fino, ovviamente, ai cittadini e alla comunità in senso più ampio. In altri termini, si tratta di dare evidenza al contributo specifico dei soggetti del terzo settore alla produzione di valore aggiunto economico e sociale in virtù del loro ruolo “emergentista”, così come riconosciuto anche all’interno della riforma del terzo settore.
Tali soggetti, infatti, attraverso le proprie attività, sono letteralmente in grado di fare “emergere” un valore sociale ed economico, peculiare ai loro tratti identitari e connesso alla propria funzione-obiettivo, che li differenzia e li smarca da un ruolo meramente “additivo” (residuale) o “alternativo” (in contrapposizione) rispetto alle istituzioni pubbliche e private for profit.
Il tema della valutazione di impatto sociale, ormai da alcuni anni oggetto di dibattito sia a livello concettuale che metodologico e di strumentazione (sfociato – e non concluso – nella pubblicazione in Gazzetta Ufficiale n. 214 del 12 settembre 2019 delle “Linee Guida per la realizzazione di sistemi di valutazione dell’impatto sociale delle attività svolte dagli enti del Terzo settore”), fin da principio si è caratterizzato per la dimensione di profondo cambiamento culturale che porta con sé.
Ragionare in termini di impatto, infatti, non significa solamente trovare degli indicatori (qualitativi e quantitativi) giusti (ovvero coerenti, appropriati e misurabili) per osservare il cambiamento apportato; tale passaggio, seppure necessario, non è sufficiente ad esaurire la riflessione in merito.
Occorre, invece, ancor prima “cambiare occhiali” e osservare la propria organizzazione e ciò che realizza da una prospettiva diversa, chiedendosi: “Qual è il cambiamento di lungo periodo che vogliamo generare o abbiamo generato attraverso la nostra attività? E nei confronti di chi?”. Tali quesiti si legano inesorabilmente alla necessità, da parte dell’organizzazione, di lavorare anzitutto sulle proprie dimensioni di valore, ovvero quei tratti specifici che definiscono e perimetrano la loro identità e che, legandosi al fine ultimo del loro agire (telòs) e al modello organizzativo prescelto per farlo, incidono necessariamente sulla loro capacità di contribuire alla produzione di impatto sociale.
Proprio nella direzione di orientare un processo di cambiamento culturale su larga scala è stato avviato il percorso dell’impresa sociale Con i Bambini, ente gestore del Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile, destinato “al sostegno di interventi sperimentali finalizzati a rimuovere gli ostacoli di natura economica, sociale e culturale che impediscono la piena fruizione dei processi educativi da parte dei minori”.
I bandi, attraverso cui il fondo viene allocato, prevedono la valutazione di impatto delle idee progettuali proposte, richiedendo ai soggetti proponenti di includere nel proprio partenariato un ente valutatore dell’impatto sociale delle attività previste. Un’azione, questa, che si riflette sulla necessità di massimizzare fin dal principio della progettazione la capacità trasformativa delle azioni da implementare.
Dentro questo solco, troviamo l’esperienza del progetto “Community School” nel biellese, all’interno del quale è stato costruito un ampio partenariato (48 soggetti) e che vede il protagonismo del mondo dell’associazionismo nella definizione di una strategia socio-educativa a contrasto della povertà educativa che si misura con la valutazione di impatto sociale delle attività progettuali.
Come nell’esempio appena descritto, quando parliamo di impatto sociale, infatti, è necessario tenere in mente la sua natura ecosistemica: ciò significa che non possiamo osservare l’impatto se non in relazione all’ecosistema in cui l’organizzazione si colloca. Ecosistema che si compone di una pluralità di soggetti, pubblici e privati, nonché la comunità stessa, rispetto ai quali l’organizzazione del terzo settore genera impatto.
Ecco perché diventa imprescindibile che quello stesso ecosistema, seppur limitato all’attività oggetto della valutazione, entri attivamente e fin da principio nel processo di valutazione di impatto sociale. Questa è la ratio che sottende la necessità di avviare un “processo di partecipazione alla definizione delle dimensioni di valore della misurazione di impatto da parte di un insieme di classi di stakeholder rappresentativi interni ed esterni all’ente”, così come riportato nelle linee guida.
Un processo apparentemente complesso, quello della valutazione di impatto sociale, che – al fine di essere incentivato – trova un primo tentativo di semplificazione (da non confondere, tuttavia, con un’operazione di mera sovrapposizione) nella possibilità di evidenziare già all’interno del bilancio sociale alcune evidenze che emergono in termini di risultati di medio periodo (outcome) conseguiti dall’organizzazione rispetto alle attività che vengono rendicontate annualmente all’interno di questo documento. Un tentativo, questo, già attuato da diverse realtà del t settore “pioniere” sul territorio nazionale, che non hanno atteso la pubblicazione delle linee guida per approcciare il tema.
Il Gruppo Cooperativo CO&SO di Firenze, ad esempio, nel 2017 si è chiesto come orientare all’impatto il proprio bilancio sociale (anno di riferimento 2016), introducendo una riflessione che ha permesso di ricollegare, ad esempio, gli obiettivi strategici dell’organizzazione e le aree di intervento delle cooperative consorziate con i 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibili (Sustainable Development Goals – SDGs), assunti come parametro in termini di produzione di impatto, evidenziando così le modalità di contributo delle realtà aderenti al Gruppo Cooperativo agli stessi SDGs.
La complessità che caratterizza tale processo non deve spaventare, anzi. La sua forza e le sue potenzialità sono direttamente proporzionali alla capacità delle organizzazioni proprio di fare fronte a questa complessità. L’elemento chiave, in tal senso, è quello che è stato riassunto nel primo principio enucleato nelle linee guida, ovvero l’intenzionalità: la comprensione da parte dell’organizzazione della rilevanza che può avere la valutazione di impatto sociale per intendere e riorientare le proprie strategie è di fondamentale importanza.
Quanto più, infatti, l’impatto riesce ad entrare in verticale nell’organizzazione di terzo settore, tanto maggiore sarà la capacità dell’organizzazione stessa di riorientare le proprie attività verso la produzione di impatto. Ecco, quindi, che per chi assume questa prospettiva non è più sufficiente ragionare in termini di “reportistica” fine a se stessa.
In altri termini, la valutazione di impatto concepita in ottica strategica permette di avviare un processo di potenziamento della dimensione organizzativa interna – (impact) empowerment – fino ad arrivare anche a dar vita ad un’azione di sviluppo delle capacità – (impact) capacity building – sia in capo alle risorse umane interne che sulle realtà che fanno parte della dimensione esterna, ovvero gli stakeholder. In questo modo è possibile orientare tutti i livelli coinvolti e le azioni messe in campo verso una visione di lungo periodo che persegue la produzione di cambiamento nella vita delle persone e delle comunità in cui si agisce.
In questa direzione va l’esperienza della cooperativa sociale Labirinto di Pesaro che, dopo avere realizzato un’attività di formazione rivolta alle proprie risorse umane, facendo così empowerment su di loro, ha avviato un percorso di valutazione di impatto sociale di due aree di attività della cooperativa (migranti e terza età) che ha visto una forte partecipazione delle stesse risorse umane in precedenza formate.
La valutazione di impatto sociale, dunque, va intesa come opportunità di crescita da parte dei soggetti del terzo settore: una sfida che, all’interno della sua complessità, mette tali soggetti nelle condizioni di fare un salto di qualità nella ridefinizione dei propri obiettivi di lungo periodo, nella capacità di ripensarsi anche in termini organizzativi e, di conseguenza, in termini di adeguatezza (ovvero di efficacia ed efficienza) nel rispondere ai problemi sociali emergenti, sempre più complessi, i quali per essere risolti vanno affrontati in maniera ecosistemica dalla pluralità di attori che risiedono su un territorio.
Fonte: Cantiere Terzo Settore
Sara Rago è docente del corso Fundraising e Impatto Sociale.
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