Piattaforme, comunità e la sfida del potere

Osservando i cambiamenti generati dal crescente uso delle tecnologie appare evidente come questi abbiamo prodotto un’azione trasformativa tanto nelle organizzazioni a finalità sociale quanto in quelle orientate al profitto: in entrambi i casi stiamo assistendo a innovazioni che non producono effetti misurabili solo in termini di efficienza ma che modificano la sostanza del modo di fare impresa e di costruire valore sociale.

È la rivoluzione delle piattaforme, un’innovazione di metodo che il capitalismo ha sposato come strumento principe per generare valore condiviso e che il mondo del not for profit sta incorporando in dosi massicce per efficientare i propri modelli organizzativi e ridefinire l’esperienza dei propri portatori d’interesse. La prima conseguenza di questa trasformazione si osserva nel mercato delle startup dove si assiste alla crescita di “tecnologie focalizzate sull’interazione”, come dimostra il crescente investimento dei colossi della platform economy in “app conversazionali”: Traxn Blog, un database americano, ha registrato un incremento degli investimenti in chatbot del 129% nel solo 2016, per un totale di 227 milioni di dollari.

Nel Terzo settore invece, dove fino a 10 anni fa l’uso della tecnologia era inteso unicamente come driver per “far risparmiare” risorse da reinvestire poi nella gestione corrente, la trasformazione digitale diventa una leva strategica per generare capitale sociale partendo da quella moltitudine di legami deboli e dalla domanda di partecipazione troppo spesso sopita da conversazioni strumentali o autoreferenziali.

Il potere delle piattaforme, infatti, sta proprio nel costruire connessioni fra pari, scambi di varia natura capaci di massimizzare l’integrazione fra produttore e consumatore, di socializzare contenuti e beni, di catalizzare risorse provenienti da soggetti diversi, di abilitare risorse latenti ma soprattutto di costruire community. Non basta però facilitare la comunanza per creare comunità. Se generare fiducia è l’esito inatteso di una relazione non strumentale basata sulla reciprocità, allora diventa centrale il fine ultimo della relazione e la motivazione che la muove.

Tanto nel profit quanto nel non profit diventa così centrale il fattore esperienziale. In uno studio di PwC (2017 Digital IQ) che ha coinvolto 2.216 dirigenti di aziende con un fatturato annuo di più di 500 milioni di dollari emerge sia la radicalità della trasformazione prodotta dal digitale (per il 42% dei ceo è indispensabile un cambiamento dei modelli di business), sia la difficoltà a tenere il passo con le accelerazioni dell’innovazione. Quindi, come fare? La risposta che emerge dai ceo è semplice, anche se non così facile: occorre concentrarsi sull’esperienza umana. Coloro che dichiarano una maggior crescita dei ricavi e margini di profitto sono quelli che hanno una migliore comprensione dell’esperienza umana che circonda il digitale (82% delle top-performing company).

Allo stesso modo per le organizzazioni “mission driven” la trasformazione prodotta dalle piattaforme digitali è certamente una grande opportunità che dilata la platea dei potenziali donatori e utenti riducendo i costi di contatto, ma non può limitarsi a questo. Il vero obiettivo di lungo periodo sarà quello di trasformare i «network in community» (E. Mintzberg). È infatti la dimensione comunitaria il vero asset , il Sacro Graal, a cui tendono le campagne promosse attraverso le piattaforme di crowdfunding.

Nelle campagne di raccolta fondi si sta affermando prioritario l’elemento crowd (folla) rispetto a quello funding (risorse), in quanto per una organizzazione non profit il valore consiste proprio nel catalizzare intorno a sé una comunità che partecipa, coprogetta e che condivide risorse.

Una relazione questa che si costruisce attraverso dinamiche ibride, miscelando reciprocità e scambio. Non è un caso infatti che fra le 84 piattaforme di crowdfundingoperative in Italia, siano proprio le campagne che usano la formula reward based ad avere il tasso più alto di successo: 52% contro 8% di quelle donation-based(Collaboriamo-Università Cattolica).
Comunità al centro. Lo ha capito benissimo quel genio di Zuckerberg che solo una settimana fa dopo aver raggiunto i 2 miliardi di utenti (30 milioni in Italia) ha ridefinito la missione di Facebook affermando che non basta più connettere persone (ogni giorno nel mondo 750 milioni stringono amicizia), ma occorre costruire comunità significative. Il senso di una comunità postula relazioni, non solo connessioni, si nutre di fiducia e prossimità e pertanto le piattaforme digitali per distinguersi devono misurarsi su due fronti: la gestione del potere e la generazione d’impatto sociale. “Potere” significa qualità della governance, mentre “impatto” implica qualità della partecipazione: non si può pensare una rivoluzione digitale, senza una rivoluzione che rigeneri nuove forme di democrazia.

Fonte: nòva Il Sole 24 Ore (5 luglio 2017)

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