Da mecenate a donatore 3.0: nuove prospettive per il fundraising per la cultura oltre l’Art Bonus

Dal 2016 il tema del dono è diventato di attualità anche in ambito culturale: in gran parte grazie all’Art Bonus, che da fine 2014 consente un credito di imposta pari al 65% dell’importo donato a chi effettua erogazioni liberali a sostegno del patrimonio culturale pubblico italiano. Solo qualche giorno fa, ad un anno e mezzo dalla sua introduzione, si è raggiunto e superato l’inimmaginabile risultato di 100 milioni di donazioni raccolte.

I soggetti che hanno dimostrato di avere a cuore la tutela del patrimonio culturale nazionale e di essere disposti – ebbene sì – a donare risorse economiche proprie a questo scopo sono circa 3.000: ancora in minima parte sono privati cittadini (il 4% del totale), mentre fondazioni bancarie (45%) e imprese (51%) confermano il loro ruolo strategico a sostegno delle arti e la cultura.

Se fin ad oggi l’Art Bonus non sembra ancora innestare dinamiche del tutto nuove nel sostegno alla cultura, la creazione e la stabilizzazione di un credito di imposta tra i più favorevoli in tutta Europa ha di fatto aperto la strada alla partecipazione anche a quel ristretto numero di privati cittadini che desiderano essere protagonisti della conservazione, della valorizzazione e della promozione del proprio patrimonio e dei beni di proprietà pubblica.E ha reso, forse, le organizzazioni culturali più legittimante nel chiedere donazioni.

Nel Paese che acclama la Cultura come principale asset strategico per il suo futuro sembra infatti ancora difficile riconoscere dignità propria per chi dona a favore delle arti, del patrimonio, della cultura, delle arti.

Un interesse che invece viene confermato oltre che dall’Art Bonus anche dai dati delle raccolte fondi attivate grazie al crowdfunding:  alcuni casi di successo – dalla campagna di Palazzo Madama a Torino a quella per far risuonare l’Orchestra Mozart, dal crowdfunding per il restauro del Portico di San Luca a Bologna fino alla campagna #crazyforpazzy per il restauro della Cappella Pazzi a Firenze  – ci hanno lanciato un segnale forte, inequivocabile.

Hanno dimostrato che ci sono là fuori potenziali donatori, italiani e non solo, che vogliono essere coinvolti, lasciare il segno, poter fare la differenza anche attraverso una donazione a sostengo di progetti culturali.  Hanno portato allo scoperto una “specie” nuova di donatore per la cultura, che magari non ha elevatissime capacità di dono, ma che si sente tale senza bisogna di epiteti particolari, che non é né santo né eroe, non per forza di nobile stirpe o figlio di grande casata: un donatore 3.0 che senza scomodare tutte le volte Gaio Clinio Mecenate per dare dignità al suo gesto, ne ritrova il significato soprattutto laddove è vissuto come gesto di impegno e responsabilità nei confronti di una comunità o di un territorio e che usa il web sia come canale per donare sia per verificare che il progetto da lui sostenuto vada a buon fine.

Per andare oltre la logica del leisure and pleasure per quanto riguarda la cultura, servono con urgenza nuovi indicatori per misurare il valore prodotto, ma soprattutto per dare nuova consapevolezza alle organizzazione culturali in primis.

Oggi più che mai è arrivato il momento di aprire tutti i canali possibili, togliere lacci e lacciuoli giuridico-fiscali alla possibilità di donare a musei, teatri, biblioteche, centri culturali – siano essi di proprietà pubblica o privata non profit: dal crowdfunding ai lasciti, dalle donazioni on line al fundraising territoriale c’è un enorme potenziale tutto da scoprire e lasciare esprimere, a patto che le organizzazioni culturali si muovano in prima persona, mettendoci la faccia e anche il cuore, aprendo porte e cancelli, raccontando le loro storie e svelando i loro tesori a pubblici diversi, per reddito, formazione, età e provenienza culturale.

Ma soprattutto è arrivato il momento di investire in figure professionali dedicate al fundraising all’interno delle organizzazioni culturali stesse. Figure competenti sui temi della fiscalità o sulle technicalities sottese alla raccolta fondi, ma che siano soprattutto in grado di occuparsi di quel prezioso processo che gli anglosassoni ben riassumono con due parole: DONOR CARE. Ovvero di “prendersi cura del donatore”: che sia esso piccolo o grande, “mecenate style” o donatore 3.0.

 

Marianna Martinoni

Docente del Corso “Cultura e Fundraising” presso The FundRaising School, da 15 anni è consulente nel settore del fundraising per le organizzazioni non profit, in particolare per quelle che operano nel settore culturale.  È relatore e docente di workshop, giornate di studio, master e convegni concernenti il fundraising, sia su tematiche specifiche per il fundraising in ambito culturale sia su temi comuni a tutti settori.

Ha pubblicato e pubblica articoli in Italia relativi al tema del fundraising per la cultura. È socio senior dell’Associazione italiana Fundraiser – ASSIF, di cui dal 2011 al 2014 è stata membro del consiglio direttivo.

 

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