In Italia la cultura della donazione è solida e molto diffusa, seppure con rilevanti differenze geografiche. Tuttavia, storicamente la maggior parte delle attenzioni e delle sensibilità si concentrano primariamente sui temi, innegabilmente importanti, della ricerca medica e dell’assistenza socio-sanitaria. Le donazioni in ambito culturale, nonostante la forte identificazione del nostro Paese con la cultura e il patrimonio culturale, per quanto rilevanti sono generalmente meno sentite perché meno capaci di suscitare una risposta emotiva rispetto alle buone cause connesse alla malattia, alla sofferenza, all’emarginazione.
Ciò non esclude naturalmente che varie realtà italiane abbiano sviluppato nel tempo una notevole capacità di raccolta in ambito culturale, contribuendo in maniera importante alla sollecitazione e al consolidamento della propensione a donare in questo ambito. E sicuramente il successo dell’Art Bonus, che in due anni ha prodotto una raccolta complessiva di circa 170 milioni di euro, ha ulteriormente contribuito a dare visibilità e rilevanza sociale alla donazione culturale.
Il principale limite che resta però da superare è quello del rafforzamento delle micro-donazioni, che non soltanto permettono di allargare in modo molto significativo la base dei donatori, ma contribuiscono ipso facto alla diffusione di una sensibilità diffusa nei confronti della cultura che si ripercuote positivamente su molti aspetti della sfera culturale, dalla motivazione e qualità della partecipazione, al sostegno sociale alle iniziative, alla domanda di formazione, al rafforzamento del tessuto associativo, e così via.
La seconda edizione degli Stati Generali Amici dei Musei e delle Gallerie, tenutasi a Roma lo scorso 3 maggio, ha permesso di fare il punto sulle molte questioni aperte in questo ambito, e ha portato all’elaborazione di tre proposte molto concrete: una razionalizzazione e semplificazione dei meccanismi di deducibilità delle donazioni in ambito culturale, che prenda come principale riferimento il modello francese, che presenta diverse e comprensibili analogie all’impostazione italiana; un rafforzamento ed una estensione dell’ambito di applicazione dell’Art Bonus; e un maggior riconoscimento del ruolo delle associazioni degli Amici dei Musei, tanto come canale di promozione di una cultura diffusa della donazione culturale che come potenziali beneficiari delle donazioni stesse.
È evidente che il rafforzamento della cultura della donazione non debba e non possa essere pensato come una via verso la deresponsabilizzazione del soggetto pubblico nel finanziamento della cultura.
Al contrario, si può affermare che la capacità di raccolta delle donazioni in ambito culturale dipende in modo decisivo da un impegno certo, visibile ed efficace di risorse pubbliche, che ribadisce la centralità effettiva della cultura nell’agenda delle politiche pubbliche italiane (le dichiarazioni di principio non sono mai mancate in verità, ma quando non sono seguite da impegni concreti finiscono per sortire l’effetto contrario).
La propensione a donare si alimenta della consapevolezza del contribuire al raggiungimento di uno scopo sensato e coinvolgente, che difficilmente potrebbe essere identificato nel dover rimediare alla scarsa attenzione del soggetto pubblico o peggio ancora ad un’inefficacia della sua azione nella sfera culturale. Con le giuste premesse, invece, la micro-donazione può diventare l’elemento che permette di estendere la portata di un nuovo approccio partecipativo alla politica culturale a tutte le componenti della società civile.
Per quanto sia possibile definire queste forme di coinvolgimento diffuso in termini di micro-mecenatismo, sarebbe forse opportuno considerare come, soprattutto per le generazioni più giovani, la leva motivazionale più efficace non va cercata nel richiamo ad una realtà aulica, quanto piuttosto nelle logiche per loro sempre più familiari della co-creazione e della co-produzione.
In altre parole, la donazione non come “nobile gesto” ma come modo concreto di partecipare ad un progetto nel quale ci si riconosce, e nel quale essere coinvolti. Non può quindi bastare un ragionamento sui meccanismi di agevolazione fiscale anche per i piccoli donatori. Bisogna anche, e allo stesso tempo, sperimentare nuovi percorsi di partecipazione attiva che non soltanto sensibilizzino ulteriormente coloro che già considerano il sostegno attivo della cultura una causa per la quale vale la pena impegnarsi, ma anche e forse soprattutto i tanti, tantissimi italiani che sono ancora molto lontani, mentalmente ed emozionalmente, dal considerare la cultura come un aspetto importante della loro vita, e a cui forse è necessario iniziare a parlare in modo diverso.
L’importante è riuscire a comunicare come la donazione non sia in primo luogo una raccolta strumentale di fondi, ma un modo per esplorare e scoprire nuove passioni e nuove possibilità di significato. La risposta crescente di pubblico, a cui assistiamo di recente, nei confronti di realtà museali del nostro Paese un tempo neglette è un primo segnale, per quanto ancora molto generico, di una rinnovata attenzione e di una rinnovata domanda di una cultura più inclusiva e più vissuta. È importante cogliere in questo segnale soprattutto la sua valenza progettuale, la necessità di rispondere a questa domanda non tanto e non solo in termini di grandi eventi, ma di un’offerta sempre più e sempre meglio declinata in termini di cittadinanza attiva, di una cultura come asse portante della qualità della vita quotidiana di chi ha la fortuna di vivere in un Paese ricco di cultura come il nostro.
C’è ancora molto da fare, ma qualche passo nella direzione giusta inizia a vedersi.
Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore – sul supplemento della Domenica (11/06/2017)
Direttore Scientifico di The FundRaising School, terrà una lezione al Corso Cultura e Fundraising il 26 e 27 ottobre 2017.