Fundraising, ripartire dal territorio

Articolo di Paolo Venturi, Direttore AICCON, pubblicato su Corriere Buone Notizie.

È stata potente la risposta di cittadini, imprese, fondazioni in questa emergenza. Ad un shock inatteso l’Italia ha risposto con un grande atto di responsabilità, segno inequivocabile di un desiderio di partecipazione e non solo “contribuzione” ai costi sociali prodotti dalla pandemia.

Uno “tzunami di generosità ” che nel mercato della raccolta fondi segna una profonda discontinuità rispetto al passato e che produrrà inevitabilmente, una accelerazione dei percorsi d’innovazione delle strategie del non profit.

Tratti che chiedono una profonda riflessione in particolare a coloro che operano nella raccolta fondi. Da sempre sappiamo che l’ambito sanitario e la ricerca scientifica sono una delle “buone cause” preferite dagli italiani, ma questa volta il soggetto su cui si sono catalizzate le donazioni, è un soggetto pubblico o meglio Statale: l’Ospedale.

“Non poteva non essere cosi” alcuni potranno dire, ma non è scontato. Il fatto che il dono sia andato in maniera cosi “forte e diretta” all’istituzione e soprattutto a coloro che ne fanno parte (medici e infermieri) ci dice quanto “il welfare” e la “salute pubblica” per gli italiani siano un bene comune, qualcosa che non possiamo dare per scontato.

Credo che questo orientamento influenzerà molto anche il futuro. I beni pubblici ed i beni comuni catalizzeranno molto le donazioni del futuro perciò il non profit, per non essere spiazzato, dovrà tenere conto di ciò e dimostrare di essere un attore credibile e trasparente “d’interesse generale” ossia rendere visibile e valutabile la sua “funzione pubblica”.

Da dove partire? Innanzitutto potenziando la propria strategia e le proprie competenze e rendendo evidente la sua diversità, profondamente relazionale e comunitaria.

Oltre a ciò sono altre due le indicazioni o meglio gli imperativi per i professionisti e le organizzazioni non profit orientate alla raccolta fondi: il valore del “digitale” e la riemersione della dimensione “locale”.

L’isolamento ha contribuito a produrre un’iperconnettività ed un uso esponenziale del digitale e di tutti gli strumenti che rendevano possibili contatti ed interazioni. Un’esperienza per certi versi trasformativa che cambia radicalmente “l’esperienza del dono”. Benché l’essenza del dono sia “la relazionale” e non il mero “contatto”, è impensabile immaginare la propria sostenibilità senza un “mindset digitale”.

Occorre un investimento serio per una strategia digitale e non appena un uso strumentale ed emergenziale delle piattaforme. L’ultimo imperativo riguarda la rilevanza crescente della dimensione comunitaria e territoriale.

In futuro sarà decisivo rendere “esplicito” l’impatto per la propria comunità. Non è un rigurgito localista, bensì una responsabilità civile, il valore di riconoscersi “abitanti. Una leva questa che deve essere inclusa nelle future strategie di fundraising e che peserà sempre di più nelle scelte dei donatori italiani.

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