Fundraising per la cultura: se non ora quando?

Solo fino a pochi anni fa, in Italia, in pochi parlavano del fundraising come strumento specifico per il settore culturale del nostro paese. Quello che è accaduto non è solo l’incremento del bisogno di risorse a sostegno della cultura – dovuto alla costante diminuzione della spesa pubblica destinata al settore dal 2005 in avanti – ma l’emergere di una nuova prospettiva volta a far maturare la sensibilizzazione dell’opinione pubblica sul valore della cultura per la nostra società.

Tale aspetto è ancor più centrale oggi. La crisi ha posto in evidenza la fragilità e la frammentarietà del settore culturale, ma ha anche dimostrato come la cultura si leghi profondamente alla salute mentale delle persone, come sia una colonna della coesione sociale e della costruzione delle comunità (Sacco, P. L., 2020).

Oggi più che mai le organizzazioni culturali hanno bisogno di pensare al fundraising con un approccio strategico. L’emergenza COVID-19, con la chiusura forzata di quasi tutte le attività culturali e il venir meno di una consistente parte di bilancio derivante – ad esempio – dalla vendita di biglietti e di accesso a mostre ed esibizioni, ha reso urgente per queste organizzazione la ricerca di fonti alternative di entrate per garantire la sostenibilità delle strutture e dei progetti.

Il fundraising diventa quindi strategico: verranno premiate quelle organizzazioni che avranno lavorato in questi mesi per curare il rapporto con i propri pubblici e stakeholder, ma soprattutto che avranno investito nel provare a modificare il proprio storytelling, riuscendo a raccontare tanto la missione dell’organizzazione ed il suo ruolo tanto impatto che sono in grado di generare all’interno di un territorio e di una comunità, superando il classico approccio alla comunicazione focalizzato sulle informazioni di contatto o di prenotazione.

Quella che ha colpito il settore culturale è stata una vera e propria “emergenza nell’emergenza” che ha afflitto in modo particolare lo spettacolo dal vivo, ma anche il settore museale e dei luoghi della cultura che, fatta eccezione per la breve pausa estiva, hanno visto un arresto totale, con ricadute negative anche sui lavoratori, aggravate dall’incertezza che ancora riguarda i prossimi mesi. Ma ci sono stati anche dei “segnali positivi”.

Molte organizzazione hanno adottato lo smart working e riscoperto l’utilizzo del digitale come un valido alleato per relazionarsi con i propri pubblici. Abbiamo visto in questi mesi un rafforzamento dei piani editoriali sui canali social e un ricorso a questi strumenti anche da parte di quelle organizzazioni culturali che fino ad ora non avevano sentito il bisogno di utilizzarli.

Ciò ha permesso di veicolare diverse campagne di sensibilizzazione e azioni di audience development molto articolate in cui le organizzazioni culturali italiane hanno dimostrato molta creatività e una spiccata capacità di saper raccontare in modo nuovo la propria missione e i propri contenuti culturali, dando spazio, valore e visibilità anche alle persone, alle maestranze, alle tante professionalità che lavorano all’interno dell’organizzazione che solitamente sono dietro le quinte.

In questo senso c’è stata la riscoperta di una ricchezza inaspettata, preziosissima in un’ottica di fundraising e di coinvolgimento di soggetti privati. Perché l’aspetto fondamentale del fundraising non è quello del contributo, ma della partecipazione, con l’obiettivo di renderla più estesa, qualificata e motivata possibile; è una forma di coinvolgimento attivo, un canale attraverso cui contribuire alla diffusione di quel sistema di valori, di motivazioni e di competenze che sostiene tutta la complessa architettura dell’economia della conoscenza.

Restando sugli strumenti di digital fundraising, molti in questi mesi hanno fatto ricorso al crowdfunding. Si comincia quindi a intravedere la possibilità di un lavoro molto più strutturato anche su mercati che il settore culturale italiano è poco abituato a presidiare, come quello dei piccoli e medi donatori.

Dovendo pensare ad un finanziatore alternativo al pubblico, infatti, il settore culturale ha sempre fatto riferimento alla figura del mecenate, inteso soprattutto come donatore con grandi possibilità economiche. Guardando i risultati dell’Art Bonus, del 5 per mille alla cultura e del crowdfunding si delinea invece un profilo più diversificato di donatore pronto a sostenere le organizzazioni culturali. Solo l’Art Bonus nel 2020 ha registrato grandi risultati e traguardi importanti, ricevendo erogazioni liberali da oltre 4.000 mecenati nel corso dell’ultimo anno e raccogliendo oltre 65 milioni negli ultimi 9 mesi del 2020 ( superando così i 500 milioni di euro donati in poco più di 6 anni).

Si apre uno scenario completamente diverso per le organizzazioni culturali italiane.

Se ci sarà la lungimiranza di voler dare spazio ad un fundraising strutturato, con risorse umane dedicate e professionalmente preparate per fare questo mestiere, assisteremo ad un deciso incremento di quella fetta del funding mix derivante da donazioni, programmi di membership, quindi da strumenti di coinvolgimento dei privati cittadini, intesi sia come piccoli, medi e grandi donatori.

Anche il lavoro con le aziende potrà essere potenziato e migliorato, ragionando su strumenti diversi dallo sponsoring, di cui spesso di avvale il settore culturale. L’incertezza sulla pianificazione delle attività, della contezza dei pubblici che potranno assistere agli spettacoli, piuttosto che alle manifestazioni, ha decisamente mostrato il limite di uno strumento come la sponsorizzazione che è fortemente legato alla visibilità che l’organizzazione culturale si impegna ad offrire ad un’azienda a fronte di un contributo economico. Quindi anche su questo mercato sarà decisamente necessario pensare a strumenti nuovi, che già esistono e che vediamo utilizzati in altri contesti come quello anglosassone.

Certo è che per un’organizzazione culturale scegliere la strada della raccolta fondi significa, da un lato, impegnarsi alla massima trasparenza e apertura nelle proprie modalità di gestione e uso delle risorse ricevute, e dall’altra, accettare di mettersi in discussione, aprirsi al dialogo con chi dona, con le sue aspettative, con le sue motivazioni: senza questo atteggiamento, il fundraising, per quanto tecnicamente abile, porta ad un vicolo cieco (Sacco, P.L., 2005).

Quest’anno potrebbe essere quello della maturità del fundraising nel settore culturale, l’anno in cui l’apporto di donatori e sostenitori privati potrà diventare parte delle strategie di sostenibilità delle organizzazioni culturali italiane.

Le tante chiusure forzate e prolungate ci hanno fatto capire quanto queste organizzazioni possono e devono essere parte della vita di ognuno di noi e ci hanno dato nuove motivazioni per ribadire con forza l’importanza del loro ruolo.

Non c’è che da cominciare, il lavoro che ci aspetta è veramente straordinario!

 


Marianna Martinoni è docente del CORSO Cultura e Fundraising che partirà il 17 gennaio 2022.

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IMMAGINE: Berliner Ensemble – Berlino

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