Fundraising: gli ingredienti per una campagna di successo

Prendi un gruppo di cooperative sociali in rete per un progetto, mettici il bisogno di volontari per la sostenibilità del servizio finito il triennio di finanziamento del bando, aggiungi l’assenza di visione strategica di sviluppo dei propri servizi, versa a pioggia la scelta di investimenti fatti, cuoci in un contenitore di bilancio sociale non per scelta ma per obbligo regionale, mettici un pizzico di vecchia visione dei CdA rispetto al fundraising – ”…è lo Stato che deve pagare i nostri servizi e quindi non vogliamo ricorrere al fundraising” – e ora miscela per bene e prova a tirarci fuori un piatto equilibrato dal punto di vista nutrizionale, gradevole al palato e piacevole nella sua presentazione.

No, non ci si riesce proprio. Con tutta la buona volontà, ma qui mancano gli ingredienti base: come voler fare una bagna càuda senza aglio, olio o acciughe. Cambia menù, almeno se vivi in Piemonte.

Se nell’arcipelago delle organizzazioni non profit quelle di Advocacy, non tutte ma molte, hanno imparato a fare fundraising non lasciando questa attività come un’azione a latere, distaccata e strumentale a un bisogno ad hoc ma integrato pienamente nelle politiche di sviluppo organizzativo e utilizzandolo come vero catalizzatore dei processi, nel mondo delle organizzazioni non profit produttive per ogni esempio virtuoso ancora troppe sono quelle ancorate a dimensioni di un anacronistico passato.

Rispetto alla sgangherata ricetta di cui sopra, proviamo a leggere meglio ogni ingrediente:

1

Bisogno di volontari per la sostenibilità di un servizio. Se il presupposto dell’azione di People Raising della mia organizzazione è riassumibile nel concetto che “o arrivano (e magari restano per un po’) dei volontari oppure il servizio lo chiudiamo”, allora siamo messi maluccio. Nel senso che un’organizzazione non può pretendere che le persone donino la cosa più preziosa che hanno, il loro tempo, per colmare una carenza – grave – di chi non ha saputo leggere e programmare l’aumento del bisogno a cui da risposta il servizio o, come spesso accade, la diminuzione delle risorse dell’Ente Pubblico su servizi tipicamente in convenzione. Senza contare l’annosa questione di cogestione di personale retribuito e di volontari che si affiancano su un’attività alternandosi come se non ci fossero differenze nella professionalità, nella motivazione, nelle aspettative.

L’attività di volontariato non può e non deve essere un modo per risparmiare risorse, per non pagare una professionalità; il volontario rappresenta un enorme valore aggiunto, anche in un’organizzazione non profit come una cooperativa sociale, anche su un servizio gestito dagli operatori/educatori, a patto che questo possa contribuire a generare valore e non debba invece coprire un turno/servizio.

2

E dal punto uno si passa senza discontinuità alcuna al secondo ingrediente che è proprio l’assenza di visione strategica. Nessuna organizzazione può navigare a vista, meno che mai quelle che hanno non solo la responsabilità come centro di costo ma anche la responsabilità come “centro di servizi” e che, per aggiungere complessità, si sono sedute sulla sponda del fiume Convenzione e, nonostante la portata del fiume continuasse a diminuire, hanno ignorato il fenomeno e ora si trovano in piena secca.

3

Idem come sopra: investimenti fatti senza strategia sul futuro equivale a dire che le decisioni le prendiamo su rami di attività che ci ispirano simpatie o che “sono i servizi storici, vuoi che cambi qualcosa?”.

Perché porsi il problema di come i bisogni sono cambiati, o di come cambieranno, perché dialogare con i tuoi stakeholder per pianificare il futuro quando ci bastiamo noi del CdA (perché quelli dell’assemblea è già qualcosa se ci vengono in assemblea!)?

4

E se in alcune aule ci ritroviamo a dialogare rispetto alla misurazione dell’impatto sociale, tante organizzazioni ancora non colgono l’opportunità di redigere un bilancio sociale obbligatorio per legge, utilizzandolo come come una mera compilazione di tabelle scelte da altri, e non come un processo di spinta e di leva al cambiamento. E anche questo si aggiunge agli ingredienti che ci fanno leggere questa tipologia di organizzazione non come un essere vivente (dicasi essere vivente un organismo che nasce, cresce, si riproduce e muore o si trasforma) bensì più come a un fossile.

5

Sull’ultimo ingrediente, la vecchiaia, non anagraficamente intesa, ma di visione della governance delle organizzazioni, forse è preferibile non aggiungere più nulla a quanto da tanto, troppo, tempo siamo a scrivere e raccontare.

Quando ti mancano gli ingredienti base, forse il fundraising non può essere il tuo unico punto di ri-partenza, ma sicuramente è l’unico ingrediente che non può mancare.

Intendendo ovviamente il fundraising non come una applicazione mutuata dal marketing di strumenti e tecniche, ma come un processo generativo di produzione di valore che, per poter funzionare deve per forza di cose agire una forte leva verso il cambiamento.

E, alla fine, questa è l’unica essenza necessaria per far funzionare la ricetta.


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