Fundraising e Cultura

Fundraising: se vuoi farlo bene, devi considerare l¹importanza della strategia e dello storytelling con cui promuovi il tuo progetto.

Una regola valida in tutti i settori, ma soprattutto in quello culturale, che se da un lato nel nostro paese si confronta suo malgrado con la mancanza di fondi, dall’altro deve fronteggiare una percezione collettiva quantomeno superficiale della Cultura e del suo ruolo nella società. Un tema complesso e affascinante perché, come sappiamo, ogni crisi è sfida, e ogni sfida opportunità. Rete del Dono ha pubblicato un’intervista a Marianna Martinoni, consulente nel settore della comunicazione e del fundraising per le organizzazioni non profit con una grande esperienza nel settore culturale e docente del corso “Cultura e Fundraising” che si terrà il 27 e 28 ottobre a Forlì.

Il mercato è costretto a trovare altre forme di sostentamento e reperimento fondi. Dal tuo punto di vista, come commenti questa situazione?

Quello che tu descrivi è un dato di fatto e un’esigenza primaria per tutte le realtà che si occupano di cultura. Dal 2000 in poi il progressivo taglio ai fondi pubblici, oltre a togliere risorse al settore, ha cambiato radicalmente il contesto in cui le imprese culturali si muovono. A fronte di tutta una serie di scelte, oggi occorre mettere in discussione le forme di sostegno a favore di enti pubblici e privati:  il più grande passo in avanti lo devono fare coloro che finora non si erano mai confrontati con gli stakholder.

Dunque, qual è la sfida fondamentale per le imprese culturali?

Dimostrare che la loro esistenza è fondamentale. In questo senso i cambiamenti che stanno avvenendo, prima ancora che come segnale indiretto di una crisi socio-economica, devono essere visti come un’irripetibile occasione per ripensarsi e ripensare il modo in cui si attraggono i fondi necessari per porre in essere le proprie attività. Ma soprattutto, occorre saper riconoscere e comunicare adeguatamente l’impatto sociale delle istituzioni culturali, che è poi l’elemento chiave per attivare campagne di fundraising di successo. Negli Stati Uniti o in Inghilterra questo già accade, anche in ottica di audience development.

Qual è invece la situazione in Italia?

Partiamo da un dato: la disponibilità media del donatore nei confronti di iniziative di fundraising a scopo culturale è bassissima. Siamo attorno al 5,6%, molto dopo altri settore più gettonati come la ricerca scientifica o le adozioni. Secondo me, questa è la diretta conseguenza di una mancata trasparenza nell’utilizzo dei fondi. Poche istituzioni culturali forniscono numeri e dati utili a conoscere da vicino il loro operato, oppure rendono disponibili i propri bilanci. Se manca questo tipo di trasparenza e visibilità sulle attività in essere, manca tutto. Intanto molti operatori si lamentano dei tagli ai fondi, che hanno toccato quota -30% in dieci anni. A loro vorrei ricordare che proprio l’Inghilterra del dopo-Thatcher, falcidiata dai tagli alla cultura, ha saputo diventare in pochi anni una best practice della raccolta fondi, trovando nuove forme di sostegno a progetti alle imprese culturali. Quindi il messaggio è: diamoci da fare, basta piagnistei!

C’è qualcuno che ha già recepito il messaggio?

Sì, certamente. Il Museo della Scienza e della Tecnica di Milano è un ottimo esempio. Non solo, i dati Istat ci parlano anche di realtà piccole eppure molto attive, capaci di relazionarsi con soggetti nuovi. I casi di successo, che fortunatamente non mancano, si spiegano grazie alla capacità di tessere una proficua relazione con la propria community e all’utilizzo di metodi nuovi e di una nuova comunicazione. Mettiamoci in testa che è cambiato il contesto: le organizzazioni culturali non hanno più nulla di garantito, quindi devono pensare a un nuovo modo di relazionarsi con il proprio pubblico. Se ti costruisci una community solida, puoi chiedere: questo è il concetto.

Quali sono le caratteristiche di un buon progetto di fundraising culturale?

Deve essere parte di una strategia più ampia e di un più ampio rapporto con gli interlocutori. Quindi deve essere programmato per tempo e per attività di sostegno reale ai progetti di un¹impresa culturale. Il fundraising culturale naufraga quando mancano la consapevolezza del ruolo del fundraiser, che non è un solista, ma un uomo di squadra. Infine, occorre sempre tener presente che, mentre in altri casi il beneficiario di una campagna di fundraising è spesso un soggetto terzo, il fundraising culturale deve scontrarsi con la necessità di “comunicare la cultura”. Un compito, questo, molto difficile in un paese in cui i consumi culturali sono in picchiata. In questo senso, è molto importante il ruolo dello storytelling come strumento e strategia per far capire al cittadino medio l’importanza dell’impatto sociale della cultura.

Articolo tratto dal blog di Rete del Dono


Marianna Martinoni

Docente del Corso “Cultura e Fundraising” presso The FundRaising School, da 15 anni è consulente nel settore del fundraising per le organizzazioni non profit, in particolare per quelle che operano nel settore culturale. È relatore e docente di workshop, giornate di studio, master e convegni concernenti il fundraising, sia su tematiche specifiche per il fundraising in ambito culturale sia su temi comuni a tutti settori.

Ha pubblicato e pubblica articoli in Italia relativi al tema del fundraising per la cultura. È socio senior dell’Associazione italiana Fundraiser – ASSIF, di cui dal 2011 al 2014 è stata membro del consiglio direttivo.

 

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