Dalla spending review un nuovo Mibact?

Governance, manager, fundraising: la riforma parla inglese. La via italiana la misureremo alla prova dei fatti

di Irene Sanesi

La riorganizzazione del Mibact trae origine, come è noto, dalle politiche della spending review attuate con il decreto legge 66/2014 convertito nella legge 89/14.
Dichiarando di cogliere la spending review come un’opportunità e di guardare alla proposta come a una rivoluzione, è stata da poco approvata la riforma dei Beni Culturali, non senza raccogliere i commenti più contrastanti. C’era da aspettarselo visto che la ratio è quella di ri-fondere dalle basi una struttura, quale quella del Mibact, con un’organizzazione burocratica e gerarchica poggiata in taluni casi su normative datate. Il cambiamento si è ispirato, sotto molti aspetti, a modelli stranieri (anglosassone in primis, ma anche francese), in particolare per il coinvolgimento dei privati, l’autonomia gestionale degli enti e lo sprone ad elevare le loro capacità attrattive e produttive.
Ecco su cosa verteranno le novità:
Verso un vero ministero per la cultura e il turismo; Verso un Mibact più snello ma più forte sul territorio; Verso un Mibact più efficiente e più moderno al centro e più autorevole a livello internazionale; Verso un sistema museale italiano; Verso un Mibact più attento alle arti contemporanee; Verso un Mibact più trasparente e più attento all’educazione, alla formazione, alla ricerca; Autonomia speciale per 20 siti museali.
Per ciascun punto inseriamo un breve commento:

Verso un vero ministero per la cultura e il turismo: prendere atto che l’attrattività turistica del nostro Paese è fortemente influenzata dal patrimonio culturale e paesaggistico dovrà andare di pari passo con la consapevolezza che dove un luogo è più vivibile e accogliente per la civitas lo sarà anche per il turista. L’offerta turistico/culturale dovrà dunque misurarsi con una domanda esterna, una interna e con quella  dei cittadini (che sono i primi che misurano il livello di gradimento).

Verso un Mibact più snello ma più forte sul territorio: si vuole risolvere l’“ingorgo burocratico” con una poderosa riorganizzazione che sta incontrando non poche ostilità. Poiché i cambiamenti li attuano (o non li attuano) le persone, speriamo bene. Anche sul fronte della collegialità prevista per decisioni importanti quali la dichiarazione e la verifica di interesse culturale: quando si è in troppi a dover decidere a volte il rischio è l’anarchia. E in questo non si può disconoscere il lavoro delle Soprintendenze nella tutela del patrimonio, avendo nella maggior parte dei casi agito bene nel controllo e al di là delle posizioni politiche localistiche troppo spesso legate a motivazioni particolari e transitorie.

Verso un Mibact più efficiente e più moderno al centro e più autorevole a livello internazionale: due punti (1-3) sono ancora troppo generalisti (rafforzare poteri di indirizzo, impulso e coordinamento del Segretario generale… dare maggiore importanza alle politiche di promozione, valorizzazione e formazione) per poter valutare concretamente le azioni che saranno intraprese. Mentre sul punto 2) che prevede la costituzione di due Direzioni trasversali di supporto (organizzazione, personale e bilancio) così da rendere più efficiente la gestione e il funzionamento del Ministero e assicurare l’attuazione e il monitoraggio delle norme sulle agevolazioni fiscali (c.d. Artbonus) si può avanzare l’ipotesi che il primo obiettivo -gestionale- necessiterà competenze specifiche ed il secondo –di controllo- potrebbe essere assolto con l’utilizzo di un portale costantemente aggiornato che possa dare conto con trasparenza delle modalità di utilizzo dei fondi. Interessante sarà anche capire quali azioni verranno previste per la realizzazione del quarto  punto: riconoscere la valenza internazionale degli istituti d’eccellenza e rafforzare le politiche di cooperazione. Il made in italy (“le cose belle che piacciono al mondo”, così lo definiva lo storico C.M.Cipolla) è soprattutto “software” e possono essere davvero molte le idee e le iniziative ben al di là dei già noti prestiti d’arte.

Verso un “sistema museale italiano” e autonomia speciale per 20 siti museali: con l’espressione “sistema” si riconosce che il valore del patrimonio museale non è tanto da assimilare al nostro “petrolio” (che allude a giacimenti da cui estrarre una risorsa limitata per quanto ampia), piuttosto ad una peculiarità tutta italiana (che tanto affascina ancora oggi a distanza di secoli dal Grand Tour) per cui i nostri musei non sono monadi isolate ma luoghi inseriti in un contesto naturale e antropico unico al mondo. Per questo non possiamo paragonare semplicisticamente le loro performance (ma già poterlo fare sarebbe qualcosa!) con quelle dei musei stranieri. Chi volesse conoscere Filippo Lippi dovrà visitare sì il Museo di Palazzo Pretorio di Prato ma dovrà anche –assolutamente- far tappa nel Duomo per guardare il magnifico ciclo di affreschi con la Salomè danzante: la diffusione sul territorio che abbraccia la musealizzazione, comporta politiche di valorizzazione specifiche che a loro volta implicano un coordinamento decisionale fra soggetti diversi, da non dare per scontato. Un’altra nota va fatta sulla gestione dei musei: se la riforma apre ad una governance autonoma (“speciale”) con direttori-manager selezionati, portatori di competenze economiche e di fund raising, non potrà essere ritardata l’introduzione di strumenti di accountability che rendano conto con trasparenza della creazione di valore culturale (criteri tecnico-scientifici e standard, VAC-valore aggiunto culturale e Intangibili) insieme all’efficienza delle prestazioni.

Verso un Mibact più attento alle arti contemporanee: anche qui si registra una “presa di coscienza” oltreché una “dichiarazione d’intenti”. Viene dato peso alla contemporaneità nelle sue diverse forme ed espressioni: “Alla maniera d’oggi”, così Vasari indicava nelle Vite le novità introdotte nel linguaggio artistico dai pittori della Firenze rinascimentale. Il “nuovo” è fondato su strumenti fiscali per i mecenati (art bonus) e attenzione per la contemporaneità che si lega alle periferie il cui “rammendo”, citato da Renzo Piano, rappresenta la nuova prospettiva.

Verso un Mibact più trasparente e più attento all’educazione, alla formazione, alla ricerca: con questo passaggio si riconosce l’importanza di accompagnare il cambiamento –anche con risorse aggiuntive- attraverso la crescita professionale e lo studio. Registriamo tutto questo con favore perché prima ancora della valorizzazione non si disperda la funzione educativa del patrimonio culturale. Va subito predisposto un piano, non sono ammessi ritardi anche perché gli effetti si vedranno nel tempo.

Profondi cambiamenti sono sottesi alla riforma dei Beni Culturali. Perché il coinvolgimento del privato e le autonomie normate funzionino è necessario che il Pubblico ridisegni e regolamenti con regole chiare il suo perimetro e i suoi ruoli ed attui in maniera sostanziale la riforma. Questo vale anche nei rapporti fra Stato centrale e Enti locali. Serve una visione di Bene comune sui Beni culturali che assegni compiti e ruoli chiari a Pubblico e Privato (e qui si intende naturalmente anche il Terzo Settore) e lo faccia riportando al centro il “primato delle competenze” basate sul merito. Anche se a volte basterebbe il senso della realtà.

Irene Sanesi
Presidente Commissione «Economia della Cultura» UNGDCEC (Unione Nazionale Giovani Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili)

Fonte: Il Giornale delle Fondazioni 

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